Scoscese presunzioni

Vivisezionando ogni momento che ti incornicia nel vuoto di un ricordo
guardo questa pellicola persa nel passato e placo un balordo istinto ingordo.
Scavando coi tuoi occhi di seta nel mio imperscrutabile universo infinito
un raro e magnetico senso di vita tra le mie corde devi aver avvertito.

Nuotando in acque a te sconosciute
allungando le mani su terre mai conquistate
scivolavi su scoscese presunzioni poco argute
e mi negavi il piacere di due parole azzeccate.

Non so quantificare i colori e bagliori che ho visto nei tuoi occhi
e non so se in te giacciono misteri di cui ho intravisto distratti scarabocchi.
Ma lascio che questa città sorda e fredda mi inghiottisca e digerisca
e gioco l’ultima mossa affinché il tuo ricordo non appassisca.

NATO SOTTO IL SEGNO DEI GEMELLI

E’ difficile mantenere i segreti di una persona che ti ha ferito. La tentazione è figlia del diavolo e sei sempre a un passo dalla voglia di rivendicarti. E’ come sporgersi dal bordo del muretto dell’ultimo piano di un grattacielo, ma poi ti fermi. E in entrambi i casi si tratta di istinto di sopravvivenza.
Sono tre notti che, come ogni anno da qualche anno a questa parte, rimugino su tutta una serie di cose che nell’arco temporale di 12 mesi per mia fortuna tornano a galla solo a giugno, intorno all’11.
Non so bene quando ho smesso di pensare che da qualche parte anch’io ho un padre e che questa persona festeggia il compleanno l’11 giugno. Il pensiero di avere un padre è così estraneo che faccio fatica a indirizzargli queste parole. Avevo pensato di scrivergli una lettera (che non avrebbe mai letto), ma c’è un muro talmente rigido e spesso tra me e il suo pensiero che non riesco.
Piu’ che un senso di appartenenza a questa persona è rimasta una scia amara in bocca che fino a qualche tempo fa aveva il sapore dell’amore. Sono convinta e morirò con la convinzione che non troverà un’altra donna che l’ha amato con la stessa purezza e lo stesso incanto che avevo io; tanti anni fa, quando quell’amore traboccava da ogni fessura di questa realtà, a guardarlo in tutta la sua grandiosità erano gli occhi di una bambina molto innamorata.

A quasi 34 anni, in queste ultime notti, anche quest’anno mi sono chiesta come quell’amore unico e grandioso, come solo il primo può essere, si sia potuto tramutare in gelido silenzio. Per fortuna (o forse anche no) la risposta me la sono data. La risposta che invece vorrei darmi ma che non riesco a darmi (e forse qua diventerà piu’ complicato seguirmi), è se ancora gli voglio bene.
Affinché la mia vita potesse prendere una forma piu’ o meno normale e l’aspettativa di vivere serenamente fosse piu’ alta di quella di vivere nel delirio che la sua presenza mi avrebbe causato, ho deciso che lui non può piu’ averci accesso, alla mia vita. E’ stata una scelta che nel tempo mi sono ritrovata a ripetere, nonostante gli innumerevoli tentativi di includerlo. Ma era come forzare un cubo dentro a un cerchio. Una delle piu’ grandi difficoltà era conciliare la nostra somiglianza con le nostre divergenze; per quanto caratterialmente simili e affini e legati da un codice comunicativo intenso e unico, io non ammetto il suo stile di vita e lui non concepisce il mio. Mio padre vive in una realtà cruda dove vige la legge del piu’ forte sul piu’ debole, è una persona che si afferma sul prossimo con violenza e inganno. E’ coercitivo e non accoglie la gentilezza come metodo di approccio. Chi si pone con garbo e rispetto nei suoi confronti, a un certo punto, verrà tritato vivo.
Mio padre è stato il modello di riferimento a tutto ciò che non ho mai tollerato, e per quanto la sua presenza nella mia vita (soprattutto negli ultimi anni) sia stata piu’ fonte di dolore che di gioia, tutto ciò che è negativo e a cui mi ha esposta mi ha temprata a forza di traumi sia psicologici che fisici. Anche io sono stata vittima del suo modo di vedere il mondo e anche con me ha usato la violenza, e l’ha usata in molte delle sue forme.

Quindi, in virtu’ di ciò, da quando l’ho tagliato completamente fuori, ogni giugno che dio manda in terra mi chiedo se si può smettere di amare un genitore così. E ogni giugno, puntualmente, mi do la stessa risposta: non lo so. Da una parte perché non c’è proprio un cazzo di garantito e tantomeno di dovuto in questa cazzo di vita e la storiella che “sono tuo padre e devi portarmi rispetto a prescindere dalla merda di persona che sono” è una cagata pazzesca che fa piu’ danni che altro. L’amore non è mai dovuto. Dall’altra perché penso sia davvero difficile non voler più bene a un padre, con tutti i difetti che ha. Questa ambivalenza mi getta sempre in enorme confusione ma sono abbastanza certa che con tutti gli anni che sono passati adesso sia rimasta tanta cenere a soffocare quel lieve alito di affetto che mi lega a lui; se da un lato è vero che è difficile smettere di amarlo, dall’altro è altrettanto difficile amarlo in maniera costante e lineare. E perdonarlo, prima di amarlo. So perdonare e sono contenta di saperlo fare, ma non sono in grado di perdonare lui (è forse questo uno dei pesi più grandi che mi porto dentro).
Allora, sempre intorno all’11 giugno – e, ripeto, per fortuna mai in altri momenti dell’anno – mi chiedo se non lo riesco a perdonare perché sono ancora arrabbiata. Ma non è neanche rabbia.
E’ paura.
Di solito, quando arrivo a questa conclusione, mollo il colpo e capisco che in tutti questi anni di silenzio il mio punto di vista sulla questione non è cambiato di mezza virgola.

Sempre a giugno, dopo essermi posta tutte ‘ste domande, per coronare il compleanno di mio padre come dio comanda immagino come sarà quando qualcuno mi dirà che è morto – sempre che non muoia prima io. Ma come ogni giugno mi dico: boh? Ci penserò l’anno prossimo, se l’anno prossimo arriva.

La stanza

L’ombra della pace mi assale,
un odore di acre solitudine bestiale.
Angolo di uno spazio ormai vuoto
e quel profumo di irrequieto terremoto.

Questo è quel che resta:
gioia di sprezzante insipida protesta.
Se è la vita, che per ardita man mano sale,
resterò a guardare con ritmo accidentale
lo sciogliersi di antichi ghiacciai,
dalla cui vetta più alta cadrai.

Canterò per Te, suonerò per Voi
e danzerò abbracciando avvoltoi.
Mentre tutto intorno brucia nel fuoco
e a stento comprenderai le note di questo gioco,
io sarò qui, chiusa in questa stanza,
pronta ad avviare l’ultima efferata mattanza.

RACCONTO BREVE

Quella notte aprii gli occhi su un cielo immenso, il buio mi avvolgeva fitto e misterioso. Dritto davanti a me, che giacevo a terra su un tappeto di foglie secche, la Luna splendeva prepotente e rotonda.

Dopo due giorni di digiuno e dopo aver vagato per i sentieri del bosco a piedi nudi, a un tratto non avevo più fame e non mi sentivo più solo. A quel pensiero, sul mio viso apparve del tutto involontariamente un ghigno di complicità, che rivolsi alla mia amica luminosa e affascinante.
L’attimo di quiete che stavo vivendo spazzò via in un solo colpo la preoccupazione di dover trovare una direzione, di segnalare la mia presenza nel caso qualcuno fosse passato di lì. Mi dimenticai di tutto e iniziai a godere minuziosamente della profondità strabiliante del tempo che passa. Così mi misi comodo ad osservare le foglie che, a causa del vento caldo, si alzavano da terra in piccoli vortici per poi riappoggiarsi armoniose a terra, mentre ascoltavo in silenzio le chiome dei lecci oscillare. I rami intrecciati fra di loro si allontanavano e riavvicinavano allargando e restringendo il campo visivo da cui spiavo la pienezza del plenilunio.
Improvvisamente, tutto ciò che mi circondava iniziò a placare i miei turbamenti; mi sentivo come in un’enorme culla che mi proteggeva. Per la prima volta, in quella solitudine, stavo vivendo un senso di armonia e di appartenenza che aveva il sapore degli abbracci di mia madre.
Mi toccai il mento e constatai che il tempo stava sfuggendo al mio controllo, la barba era lunga e crespa. Da quanto tempo ero in cerca di una via?, quando si sarebbe palesato il motivo per cui venni al mondo?, cosa dovevo fare della mia vita e come dovevo farlo?
Tenendo lo sguardo fisso su quel vuoto immenso che si srotolava davanti ai miei occhi, allungai un braccio in cerca della chitarra. La presi in grembo come si fa con una bambina infreddolita e iniziai a pizzicarla. Arpeggiai “sensible heart” e la dedicai al mio cuore di giovane uomo trentaquattrenne.
Dopo inutili affaticamenti, dopo aver brancolato nel buio della mia mente e nelle tenebre di un luogo dimenticato da dio, sentii che in quella notte c’era qualcosa per cui valeva la pena aspettare: me.

Senz’altro (racconto breve)

Il mio pezzo per Linkiostraio

Linkiostraio

Osservavo il temporale dal finestrino del metrò. La città s’era incupita, il grigiore delle cupole si confondeva col cielo plumbeo.
Stanco della scomoda postura che avevo assunto da quando ero salito, iniziai a farmi spazio tra la gente accalcata alla ricerca di un angolo in cui infilarmi.
Quel giorno non avevo messo le lenti a contatto, per pigrizia, e dopo un’ora già stavo maledicendo la mia negligenza. Gli occhiali erano davvero scomodi, mi scivolavano lungo il naso ogni volta che chinavo la testa. L’avevo detto a mamma che avevo bisogno di una montatura nuova, ma all’epoca era già una donna svampita e distratta.
Poggiai lo zaino a terra per ottimizzare gli spazi. Quando arrivammo alla fermata Barberini dovetti uscire per dare modo alla gente di passare. Un uomo ben vestito distrattamente urtò la mia mano con la sua ventiquattrore, non si girò a chiedere scusa. Indispettito, lo seguii per un…

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Racconto breve

Claire respirava l’aria carica dei profumi della campagna. Era felice di trovarsi alla casa sul lago, dopo il litigio con Jacques non ci era più tornata.
Aprì la porta che scricchiolò rumorosamente. Nel buio della stanza, si accasciò sul divano impolverato e si tolse gli stivali pesanti, era stanca, veniva da un lungo viaggio.
Pensò a Jacques, il ricordo di quella notte di marzo era nitido. Neanche lui dopo era più tornato alla casa sul lago, tutto era rimasto come l’avevano lasciato.
Stiracchiò gambe e braccia, sciolse la lunga treccia bionda e andò in bagno a sciacquarsi la faccia. Poi si guardò allo specchio e constatò che era ancora una bella donna, aveva solo smesso di dirselo.
In camera il letto era ancora sfatto, Claire ci si stese allargando le braccia. Si girò a guardare il paesaggio dalla finestra e notò che sulla poltrona c’era una mantella di lana nera. Allungò il braccio per toccarla, non era sua. «Quella puttana…», pensò mentre gli occhi le si gonfiavano di lacrime.

spoon river anthology

“La percentuale della Vita è difficile coprirla;
essa serve le carte per cogliervi debole
e non per incontrarvi in piena forza.
E vi dà settant’ anni per giocare:
se non riuscite in settant’ anni,
non riuscite mai più.
Andatevene dalla stanza se perdete
-andatevene, quando il vostro tempo è finito.
E’ vile sedersi e brancicare le carte,
e maledire le perdite, con occhi cerchiati,
piagnucolando per tentare ancora.”
Edgar Lee Masters