NATO SOTTO IL SEGNO DEI GEMELLI

E’ difficile mantenere i segreti di una persona che ti ha ferito. La tentazione è figlia del diavolo e sei sempre a un passo dalla voglia di rivendicarti. E’ come sporgersi dal bordo del muretto dell’ultimo piano di un grattacielo, ma poi ti fermi. E in entrambi i casi si tratta di istinto di sopravvivenza.
Sono tre notti che, come ogni anno da qualche anno a questa parte, rimugino su tutta una serie di cose che nell’arco temporale di 12 mesi per mia fortuna tornano a galla solo a giugno, intorno all’11.
Non so bene quando ho smesso di pensare che da qualche parte anch’io ho un padre e che questa persona festeggia il compleanno l’11 giugno. Il pensiero di avere un padre è così estraneo che faccio fatica a indirizzargli queste parole. Avevo pensato di scrivergli una lettera (che non avrebbe mai letto), ma c’è un muro talmente rigido e spesso tra me e il suo pensiero che non riesco.
Piu’ che un senso di appartenenza a questa persona è rimasta una scia amara in bocca che fino a qualche tempo fa aveva il sapore dell’amore. Sono convinta e morirò con la convinzione che non troverà un’altra donna che l’ha amato con la stessa purezza e lo stesso incanto che avevo io; tanti anni fa, quando quell’amore traboccava da ogni fessura di questa realtà, a guardarlo in tutta la sua grandiosità erano gli occhi di una bambina molto innamorata.

A quasi 34 anni, in queste ultime notti, anche quest’anno mi sono chiesta come quell’amore unico e grandioso, come solo il primo può essere, si sia potuto tramutare in gelido silenzio. Per fortuna (o forse anche no) la risposta me la sono data. La risposta che invece vorrei darmi ma che non riesco a darmi (e forse qua diventerà piu’ complicato seguirmi), è se ancora gli voglio bene.
Affinché la mia vita potesse prendere una forma piu’ o meno normale e l’aspettativa di vivere serenamente fosse piu’ alta di quella di vivere nel delirio che la sua presenza mi avrebbe causato, ho deciso che lui non può piu’ averci accesso, alla mia vita. E’ stata una scelta che nel tempo mi sono ritrovata a ripetere, nonostante gli innumerevoli tentativi di includerlo. Ma era come forzare un cubo dentro a un cerchio. Una delle piu’ grandi difficoltà era conciliare la nostra somiglianza con le nostre divergenze; per quanto caratterialmente simili e affini e legati da un codice comunicativo intenso e unico, io non ammetto il suo stile di vita e lui non concepisce il mio. Mio padre vive in una realtà cruda dove vige la legge del piu’ forte sul piu’ debole, è una persona che si afferma sul prossimo con violenza e inganno. E’ coercitivo e non accoglie la gentilezza come metodo di approccio. Chi si pone con garbo e rispetto nei suoi confronti, a un certo punto, verrà tritato vivo.
Mio padre è stato il modello di riferimento a tutto ciò che non ho mai tollerato, e per quanto la sua presenza nella mia vita (soprattutto negli ultimi anni) sia stata piu’ fonte di dolore che di gioia, tutto ciò che è negativo e a cui mi ha esposta mi ha temprata a forza di traumi sia psicologici che fisici. Anche io sono stata vittima del suo modo di vedere il mondo e anche con me ha usato la violenza, e l’ha usata in molte delle sue forme.

Quindi, in virtu’ di ciò, da quando l’ho tagliato completamente fuori, ogni giugno che dio manda in terra mi chiedo se si può smettere di amare un genitore così. E ogni giugno, puntualmente, mi do la stessa risposta: non lo so. Da una parte perché non c’è proprio un cazzo di garantito e tantomeno di dovuto in questa cazzo di vita e la storiella che “sono tuo padre e devi portarmi rispetto a prescindere dalla merda di persona che sono” è una cagata pazzesca che fa piu’ danni che altro. L’amore non è mai dovuto. Dall’altra perché penso sia davvero difficile non voler più bene a un padre, con tutti i difetti che ha. Questa ambivalenza mi getta sempre in enorme confusione ma sono abbastanza certa che con tutti gli anni che sono passati adesso sia rimasta tanta cenere a soffocare quel lieve alito di affetto che mi lega a lui; se da un lato è vero che è difficile smettere di amarlo, dall’altro è altrettanto difficile amarlo in maniera costante e lineare. E perdonarlo, prima di amarlo. So perdonare e sono contenta di saperlo fare, ma non sono in grado di perdonare lui (è forse questo uno dei pesi più grandi che mi porto dentro).
Allora, sempre intorno all’11 giugno – e, ripeto, per fortuna mai in altri momenti dell’anno – mi chiedo se non lo riesco a perdonare perché sono ancora arrabbiata. Ma non è neanche rabbia.
E’ paura.
Di solito, quando arrivo a questa conclusione, mollo il colpo e capisco che in tutti questi anni di silenzio il mio punto di vista sulla questione non è cambiato di mezza virgola.

Sempre a giugno, dopo essermi posta tutte ‘ste domande, per coronare il compleanno di mio padre come dio comanda immagino come sarà quando qualcuno mi dirà che è morto – sempre che non muoia prima io. Ma come ogni giugno mi dico: boh? Ci penserò l’anno prossimo, se l’anno prossimo arriva.